Parlare oscuramente lo sa
fare ognuno,
ma chiaro pochissimi.
(Galileo Galilei, Considerazioni al Tasso, 1589)
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Ogni anno,
dal 2000 ad oggi, come il variare dalle stagioni e le allergie primaverili
spuntano gli insofferenti della legge 150/2000. Con grande monotonia, da anni
propongono, come al solito tre strade:
l’abrogazione, oppure le modifiche o il “superamento” della legge. Tali
fervidi ardori di primavera da quasi 20
anni compaiono e poi dopo un po’
finiscono nel nulla, il strade senza sbocco, perché?
L’ abrogazione, che è l’idea più
radicale e decisa, ha il “piccolo” difetto che nessuno dice cosa rimarrebbe
dopo. A tutt’oggi la 150/2000 e l’unica conquista concreta dei comunicatori
pubblici dopo 30 anni di lotte, norma che ancora oggi i colleghi dell’Europa di
invidiano, se si preferisce il nulla si è decisamente seguaci di Leopold von Sacher-Masoch.
Altri più cauti propongono di
modificarla. Benissimo, ma come, non ho mai visto finora una proposta logica, concreta, organica e
attuabile, solo molte chiacchiere di vario genere poco legate alla realtà di
vita degli enti. Possedendo una laurea
in legge quando si parla poi di cambiare le leggi ho sempre un brivido, perché
ormai da anni abbiamo leggi sempre più
malfatte, poi spesso ancora devastate e peggiorate da modifiche o rappezzi
affrettati e superficiali.
L’ultimo termine utilizzato dai
tenaci “nemici” della 150/2000 è il “superamento”, si, ma per andare
dove? Come diceva il mio grande
conterraneo Giovanni Giolitti “Le leggi
si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici”. Anche la legge 150/2000 è da interpretare, leggendola attentamente si comprende che è stata prevista
come un contenitore delle svariate professionalità insite nel lavoro della
comunicazione, è arduo e quasi impossibile delineare sfumature in continuo
cambiamento e anche diverse per ogni ente pubblico. In questa foga iconoclasta qualcuno definisce
poi “anacronistica” la distinzione tra Urp, ufficio stampa e
portavoce. Appunto, le leggi bisogna conoscerle e saperle applicare. Le tre
figure sono i grandi “contenitori” di professionalità, che vanno modulati
secondo il tipo e grandezza dell’ente. I dati abbastanza recenti dicono che gli enti che
compongono l’universo della PA italiana è di circa 11.000, tra strutture
regionali e locali. Il numero di occupati a diverso titolo è di circa 3.400.000. Si immagini le diverse
esigenze per tipologia, dimensioni e
competenze….
L’unica autentica necessità, per la
quale si è battuta e si batte l’Associazione
Comunicazione Pubblica, sono i profili professionali nei contratti nazionali di
lavoro, che permettano finalmente di inquadrare giuridicamente le varie figure
della comunicazione e informazione e consentano il riconoscimento delle lauree
in comunicazione e equipollenti. Le facoltà universitarie
sfornano da tempo ottimi comunicatori che non trovano sbocco nel settore
pubblico, la loro professionalità,evoluta e indispensabile per una pubblica
amministrazione moderna e vicina al cittadino, è ancora incompresa e
sottovalutata e trascurata dai contratti
di lavoro pubblici.
Non voglio raffreddare poi gli
entusiasmi o sottovalutare, ma i social media sono solo una parte della
comunicazione pubblica, elemento ormai molto rilevante, ma non sono e non
possono essere “La Comunicazione Pubblica” in esclusiva.
Non bisogna confondere gli strumenti
con la professione e i contenuti con i
contenitori.
Sono cambiati gli strumenti, ma gli obiettivi strategici
della comunicazione ed informazione pubblica sono sempre gli stessi, le
eventuali distorsioni sono dovute a fattori politici o similari, ma non di
certo alla legge o agli strumenti che si sono evoluti o mutati. Per il fatto
che i comunicati stampa sono inviati via e-mail invece che via fax, non
significa che i giornalisti siano diventati informatici, si sono semplicemente
evolute ed aggiornate le professionalità.
Per i
comunicatori pubblici, sostanzialmente
è avvenuta una evoluzione di strumenti, ma la professione di base è quella del
comunicatore pubblico, che nelle grandi amministrazioni può specializzarsi e
frazionarsi in specifici settori, ma nelle medie e piccole realtà è una figura
multiculturale, ovviamente negli ambiti delle materie e strumenti della comunicazione.
Dovessi
proporre per assurdo una modifica alla legge 150/2000, eliminerei i portavoce, che sono stati spesso strumento
di distorsioni da parte dei politici. Non solo non hanno determinato la
divisione tra comunicazione politica e istituzionale, come noi di Comunicazione Pubblica avevamo onestamente
ipotizzato elaborando la legge, ma hanno causato
un grave danno alla comunicazione istituzionale creando figure ibride ad hoc
spesso carenti della professionalità necessaria.
Questo
è l’approccio al problema, a qualcuno può sembrare arido o semplicistico, ma è
invece pratico e pragmatico. Un atteggiamento che finora ha portato e sta
portando risultati, una linea comportamentale che l’Associazione Comunicazione
Pubblica segue da oltre un quarto di secolo.
Tutto il resto rischia solo di creare confusione dove più
che mai si ha bisogno di sintesi e chiarezza, proprio quando siamo ormai
prossimi alla grande meta del riconoscimento contrattuale.
Segretario Generale
Associazione Comunicazione Pubblica
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