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mercoledì 11 luglio 2018

Chi uccide le conferenze stampa degli enti pubblici?


Chi uccide le conferenze stampa degli enti pubblici?

Pratico l’attività giornalistica presso gli enti pubblici dalla fine degli anni 70, quando per la Confindustria seguivo le attività degli enti locali. Nelle sale stampa del Comune e della Provincia  di Torino vi era anche un giovane giornalista di belle speranze che si chiamava Ezio Mauro e tante “colonne” giornalismo cittadino, da Giuseppe Sangiorgio a Otello Pacifico, da Gianni Bisio a Battista Gardoncini….


Da allora nella mia ormai lunga carriera, vissuta sui due lati dei tavoli delle conferenze stampa, ho assistito e/o  organizzato a centinaia di conferenze stampa di aziende ed enti pubblici e anche di privati.
Ormai da molti anni, per evitare il disgusto, evito di partecipare a conferenze stampa, salvo che non siano organizzate da me o non sia costretto ad assistere per cortesia o ragioni professionali.
Da  anni è in corso, presso la pluralità degli enti pubblici, la distruzione sistematica dello strumento giornalistico della conferenza stampa, trasformata in un evento che va dalla esibizione folkloristica al noioso incombente che nulla o poco ha a che fare con la professione giornalistica.
Prima di tutto cosa è una conferenza stampa? Da anni lo insegniamo in corsi dove  troppi frequentano e pochi apprendono. E chi dovrebbe davvero imparare, (politici, amministratori e tecnici) ovverossia  chi le commissiona, non si vede mai perché pensa di saper tutto di tutto.
La conferenza  stampa è un incontro di alcuni esponenti dell’organizzazione ente o azienda con un gruppo di giornalisti, finalizzato a divulgare una notizia di rilevanza e non un evento di svago o salotto
I destinatari preferenziali sono  Agenzie di stampa,  Giornalisti di stampa, Tv e radio. L’incontro diretto dovrebbe permettere di presentare la notizia in una forma significativa ed articolata  per i lettori, gli ascoltatori o gli spettatori. Il modo migliore per farlo sarebbe quello di identificare i benefici e di chiarire i vantaggi che la notizia comprende, seguendo quel criterio professionale che è definito notiziabilità, che  è poi l'insieme dei criteri base della professione giornalistica. Sono i criteri con cui il redattore valuta se un determinato avvenimento può o deve essere trattato per essere trasformato in notizia.
La notizia è costituita da un complesso di requisiti che si richiedono agli avvenimenti, dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro negli apparati e dal punto di vista della professionalità dei giornalisti, perché ad essi possa essere conferita un'esistenza pubblica in qualità di «notizie».
Ciò che dovrebbe  portare a convocare una conferenza stampa è un evento importante e straordinario come quando:
·         Si deve comunicare un evento importante per pubblico e giornalisti
·         Bisogna presentare un prodotto o un impianto o sede nuova
·         Si vuole  creare un dialogo coi giornalisti prima che esca la notizia e l’impresa o l’istituzione pubblica è nella condizione di fornire informazioni importanti per il pubblico e per i giornalisti. L’ente ritiene utile e conveniente anticipare, e quindi prevenire, attraverso il dibattito, possibili dubbi, obiezioni e lacune informative.
I criteri di scelta dipendono direttamente dall’ufficio stampa, ma deve essere considerato credibile in azienda, avere le idee chiare in proposito ed avere il potere e l’autorevolezza per poter consigliare le modalità e gli strumenti migliori.
Il vertice aziendale o parla con coscienza di causa della notizia oggetto della conferenza o si limita al breve e semplice benvenuto con preambolo sull’importanza dell’evento per l’impresa.
Tre o quattro oratori sono molti, cinque già troppi, Una buona conferenza stampa non dura più di tre quarti d’ora, massimo un’ora.
Vediamo ora come avviene l’assassinio della conferenza stampa.
Il crimine più efferato avviene quando la notizia da comunicare è flebile o inesistente, perché non vi è valutazione di notiziabilità, dovuta alla ignorante prepotenza del vertice e/o debolezza, incapacità o servilismo dell’ ufficio stampa che avalla l’iniziativa, quando basterebbe un normalissimo comunicato stampa.
I giornalisti da tempo ormai evitano e non amano le conferenze stampa in generale, a causa del tempo sempre più ridotto e della diffusa riduzione dei personale delle redazioni. Se poi si rivelano una perdita di tempo, priva di contenuto,che al massimo genera una piatta”breve”, si irritano particolarmente, e così si brucia il rapporto di fiducia, diventando, il complesso ente/vertice/ufficio stampa, una entità poco credibile e dedita alla mera propaganda. Il risultato sarà che alla prossima conferenza sarà pressoché impossibile vederli e se verranno saranno ampiamente mal disposti.
Altri crimini, in apparenza meno efferati, ma dannosissimi avvengono nella realizzazione della conferenza. Come il vertice (sindaco, presidente, direttore generale, ecc) che invece di fare una breve apertura si slancia in un lungo preambolo politico-istituzionale che è pochissimo attinente all’obiettivo della conferenza, che fa perdere il poco tempo disponibile e mal dispone i giornalisti.
Poi vi è il numero di relatori eccessivo, che perde il tempo in lunghi interventi spesso diretti a incensare  il vertice o altri presenti, disperdendo e annacquando il vero contenuto di interesse giornalistico.
Come già anticipato i relatori devono essere da tre a quattro al massimo, ripartiti su un’ora che è già troppo.
Se si desidera far parlare più oratori per più tempo si faccia un convegno,  e li si avrà la controprova, perché i giornalisti non rimarranno più di mezz’ora, prenderanno la cartellina stampa, cercheranno due battute dagli oratori principali e se ne andranno.
Ultimo crimine, le cartelle stampa o troppo corpose dove bisogna scartabellare per un’ora per trovare la notizia o redatte dai tecnici o burocrati, che oltre ad essere lunghe sono incomprensibili.  Per cui il giornalista oltre alla perdita di tempo per aver seguito una conferenza stampa fasulla, aggiungerà il lavoro in redazione per poter tirar fuori due righe decenti per giustificare al capo redattore la presenza alla conferenza stampa.
Dagli indizi gli assassini sono chiaramente ormai identificati. Politici ed amministratori di nomina politica, impreparati alla gestione manageriale, che non comprendono nulla di comunicazione e impongono azioni sconsiderate senza interpellare i tecnici. Addetti stampa politicizzati che ubbidiscono senza pensare, spesso senza adeguata preparazione professionale, provvisti di un tesserino da pubblicista acquisito scrivendo qualche pezzo sui bollettini parrocchiali, di associazioni o partiti che, con tutto il rispetto, sono mondi totalmente diversi dalla cronaca.
La comunicazione pubblica è cosa seria, che l’Associazione Comunicazione Pubblica difende da 28 anni, e ha formato generazioni di validi comunicatori pubblici, forse ora sarebbe tempo di formare politici ed amministratori di nomina politica, che non si rendono conto di quanto siano lontani dalla popolazione per la loro mancanza di capacità di comunicazione e di scegliersi validi e preparati comunicatori….

Pier Carlo Sommo
Segretario Generale 
Associazione per la Comunicazione Pubblica e Istituzionale


lunedì 9 luglio 2018

Social media e sanità


Social media e sanità
Facebook e Twitter da tempo hanno sono più solo uno svago per adolescenti e studenti universitari,  sono ormai parte integrante della vita quotidiana di milioni di cittadini, e il mondo della sanità non fa eccezione.
Negli USA il 35% della popolazione usa internet come seconda fonte di informazione per questioni di salute, in Italia si avvicinano ai 30 milioni gli utenti di Facebook, che rimane il social più diffuso.
Anche se con enormi divari da regione a regione in Italia cresce il numero di aziende sanitarie pubbliche  che utilizzano Facebook e Twitter come strumento per comunicare con utenti e cittadini, anche Linkedin avanza.
Negli ultimi anni le aziende private statunitensi e inglesi del settore sanitario hanno aumentato gli investimenti nei social media, in Italia il quadro generale è fortemente frazionato. Purtroppo è un effetto del fatto che il Servizi Sanitario Nazionale è nazionale solo sulla carta, in realtà esistono venti servizi sanitari regionali che si comportano in modo differente e, all’interno stesso dei servizi regionali, vi sono comportamenti differenti in quanto molte regioni sono avare di linee guida nel settore internet.
Eppure bisogna constatare che uno degli elementi che ha profondamente modificato i rapporti tra strutture sanitarie, medici e cittadini nello scenario contemporaneo della cura e della salute è stato proprio il prorompente e inarrestabile sviluppo di Internet e delle tecnologie digitali.
Le tecnologie digitali non sono un vezzo tecnologico, ma un fattore abilitante al miglioramento della qualità dei servizi, al contenimento dei costi, all’affermarsi di nuove pratiche di cura e un  basilare strumento per lo sviluppo di relazioni e comunicazione tra tutti gli attori del sistema sanitario.
E’ con il web 2.0 e con i social media questi processi acquisiscono una crescente visibilità nella scena pubblica, grazie allo sviluppo di spazi online di condivisione di informazioni sulla salute, di scambio di pareri su prestazioni mediche, di interazioni e dialogo  con medici e strutture sanitarie.
Le ricerche hanno messo in luce come sempre più cittadini usano Internet per cercare informazioni di tipo sanitario o che riguardano tematiche legate alla salute e agli stili di vita salutari, a volte anche in modo disordinato e non sempre di esito positivo, si pensi alla pericolosissima disinformazione sulle vaccinazione.
I dati CENSIS  testimoniano una crescita rapidissima,  Questo quadro, come abbiamo accennato comporta anche criticità, come la diffusione di informazioni improprie che possono causare rischi per i cittadini, a volte anche la pubblicità sovrapposta alle informazioni sanitarie serie può confondere l’utenza. A volte l’ansia di utilizzare mezzi di basso costo con abbandono di mezzi tradizionali, può aumentare il digital divide, considerando che la comunicazione sanitaria pubblica si rivolge indiscriminatamente a tutti i cittadini, qualsiasi sia la loro condizione culturale e sociale.
I social media sono anche uno strumento strategico per i sanitari. Gli usi vanno dalla ricerca di informazioni specialistiche alla visibilità delle ricerche scientifiche, dalla formazione professionale al supporto a pazienti con specifiche patologie. È poi strumento pressoché indispensabile  per costruire e mantenere relazioni con le comunità scientifiche e professionali.
Come vediamo i social media hanno possibilità di uso eccezionale nella comunicazione pubblica sanitaria.  Le aziende pubbliche possono, a costi bassissimi, lanciare campagne di comunicazione e sensibilizzazione su specifici temi sanitari o per promuovere stili di vita salutari anche integrandoli con altri mezzi classici. Se utilizzati con regole e attenzione i social media possono aiutare le aziende sanitarie a comunicare con utenti difficili da raggiungere, come adolescenti e immigrati, in questo specifico segneto di utenza è da incrementare l’uso, ancora molto limitato, di applicazioni per smarphone.
Un uso classico  è quello tipico per gli Uffici Relazioni con il Pubblico per raccogliere i feedback degli utenti, monitorare le opinioni dei pazienti e raccogliere i reclami per corregge i disservizi.
Anche nella comunicazione interna vi è spazio si possono aprire spazi di dialogo anche con l’apporto dei circoli ricreativi aziendali, per un dialogo di tipo anche informale.
Per quanto riguarda gli uffici stampa uno spazio sui social può essere gestito come valida alternativa all’house organ, con possibilità di postare interviste, slide, foro e interviste. Alcune esperienze di aziende private si sono rivelate  molto valide.
Il Ministero della Salute suggerisce alle strutture sanitarie italiane, all’interno delle linee guida per la comunicazione on line pubblicate nel 2010, l’impiego di piattaforme partecipative per pianificare attività di comunicazione più efficaci in tema di promozione della salute e per stabilire con i cittadini relazioni più coinvolgenti e di dialogo. Purtroppo spesso le buone indicazioni ministeriali i sistemi sanitari regionali le recepiscono solo in parte o a volte nemmeno le conoscono.
Su questo quadro generale delle strutture sanitarie possiamo addentrarci tramite una ricerca dell’Università di Sassari condotta nel 2013/14 dal prof. Alessandro Lovari (membro del comitato scientifico di Comunicazione Pubblica).
La ricerca ha esplorato e analizzato il processo di colonizzazione dei Social Media da parte delle Aziende Sanitarie Locali italiane (ASL) mettendo in evidenza le strategie comunicative e le problematiche organizzativo/manageriali.
Lo studio si è articolato in tre fasi con diversi metodi, ha mappato della presenza delle Aziende Sanitarie Locali sui più popolari social media (Facebook, Twitter, YouTube). Ha analizzato il contenuto delle pagine per descrivere le tipologie di messaggi pubblicati sulle timeline delle presenze istituzionali su Facebook. E infine ha svolto interviste ai direttori generali e i direttori della comunicazione, per analizzare i problemi di attuazione, le strategie comunicative, le implicazioni gestionali e i vincoli che impediscono un corretto sviluppo dei social media da parte delle ASL.
La ricerca conferma che il trend è in crescita ma emergono differenze regionali non rispondono a logiche territoriali ma alle scelte compiute da organi di indirizzo della comunicazione sanitaria.
Le maggiori difficoltà  sono causate da vari fattori. Premesso che, in generale, nella sanità pubblica sono quasi sempre insufficienti le risorse economiche ed umane investite nella comunicazione, mancano  le risorse umane qualificate e specializzate per gestire le piattaforme, spesso la un profilo Facebook non viene aperto solo perché mancano le risorse umane per gestirlo. 
Permane un forte gap culturale di molte Direzioni Generali che hanno paura di ricevere commenti negativi e critiche da parte dei cittadini.
Infine il peggior ostacolo è dovuto alla  resistenza al cambiamento e cultura dell’innovazione, in certe aziende vi è ancora addirittura il divieto di accesso ai social media all’interno delle Asl.
Malauguratamente troppe ASL sono gestite da Direttori Generali che non hanno familiarità con i social media e non sono in grado di comprendere la rivoluzione tecnologica digitale che questi mezzi posso portare alle organizzazioni.
Come spesso ho rilevato si combattono le guerre con i generali della guerra precedente, dei novelli generali Cadorna che mandano le truppe all’attacco, allo scoperto, con la sciabola sguainata, perché non hanno capito cosa è una mitragliatrice
Purtroppo dobbiamo così constatare che l’uso dei social media per la comunicazione sanitaria istituzionale è ancora in una fase sperimentale  per la quantità e qualità. Ancora troppe Asl non sono ancora pronte a cogliere l’opportunità di attivare rapporti diretti  con i cittadini. Non investono ne risorse umani ne materiali.
L’Associazione Comunicazione Pubblica da anni è in prima fila in questa battaglia culturale, sia nella formazione che nella divulgazione. Come prosegue nella battaglia per il riconoscimento dei profili professionali nei contratti della sanità che è necessaria per poter portare i laureati in scienza della comunicazione a ricoprire un ruolo che è più che necessario.
Per concludere è importante ancora sottolineare che le aziende sanitarie pubbliche, insieme ai comuni, sono il più importante e diffuso contatto del cittadino con lo Stato, e che il bilancio delle regioni per il 70% è indirizzato alla spesa sanitaria. Un tale quadro socio-economico richiede assolutamente una comunicazione pubblica forte e moderna, come noi di Comunicazione Pubblica P da sempre sosteniamo.
 Pier Carlo Sommo
Segretario Generale Associazione 
per la Comunicazione Pubblica e Istituzionale