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sabato 3 gennaio 2015

Il rispetto per il cittadino è Comunicazione Pubblica

Sono le 5.30 circa di una fredda mattina d’inizio gennaio 2007. Sono appena terminate le festività natalizie. La via del quartiere di Torino dove abito è ancora deserta. La città è prossima al risveglio, nell’ovattato silenzio dell’alba si sente un forte tonfo, seguito dopo pochi minuti da un angosciato grido di donna: “Papà, papà! Perché l’hai fatto?”.
Sulla via si aprono porte e finestre, la gente si affaccia, qualcuno scende in strada. Il corpo di un uomo sui cinquant'anni, vestito solo di un pigiama grigio, ormai insanguinato, giace sull'asfalto, rannicchiato davanti al portone di una casa, circondato da tre donne piangenti. Un essere umano che ha deciso di porre fine alla sua vita gettandosi in strada dal balcone del quinto piano.
Vi è ancora un barlume di vita nel poveretto, pochi minuti e giunge un'ambulanza del 118 seguita da un'altra. Medici e infermieri si prodigano oltre ogni limite, massaggio cardiaco, iniezioni, respirazione artificiale. Tutto invano: dopo 40 minuti di sforzi, la vita lascia quel corpo martoriato. Pietosamente un lenzuolo bianco è posto sul corpo, sono quasi le 6.30. Da quel momento inizia l'ultimo iter burocratico della sua esistenza terrena. Il povero ex contribuente, che nella vita ha fatto mille attese, negli uffici postali, in comune e in altri pubblici luoghi, inizia la sua coda per andare il cimitero.
Insieme all’ambulanza sono giunti due Carabinieri, un maresciallo e un appuntato di mezza età, quelle solide figure di militi delle stazioni di quartiere, che hanno visto di tutto: delitti, suicidi, risse in famiglia. Non si stupiscono di nulla, hanno imparato a distinguere il dolore dalla delinquenza e sanno alternare buon senso e il codice penale nei momenti giusti. L'appuntato “piantona” come da regolamento il corpo, ma con discrezione.  Dai marciapiedi sguardi di passanti diretti al lavoro. Il maresciallo si occupa delle “formalità di rito”. Con delicatezza interroga i parenti del suicida ed i testimoni. Telefona poi per chiedere la presenza del medico legale, che deve costatare la morte ed il magistrato “di turno” che deve autorizzare la rimozione del cadavere, come prescrive la legge.
Verso le nove arriva finalmente il medico legale. Con fredda ed efficiente professionalità inizia gli accertamenti sul corpo esanime. Il maresciallo, nel frattempo, continua a telefonare per sollecitare l’arrivo del magistrato. L'appuntato, rimasto più volte solo vicino al cadavere, con gesti pietosi rimbocca il lenzuolo, che il freddo vento di gennaio di quando in quando solleva. Ad un certo punto sposta anche la sua auto per impedire la vista del cadavere ai passanti.
Il tempo passa. Verso le dieci arriva finalmente il magistrato. Compila e firma le ultime scartoffie della burocrazia che affligge un essere umano, parla con il medico legale e finalmente dà il consenso alla rimozione. Intanto è giunto il lucido furgone grigio dei “servizi speciali cimiteriali: il taxi comunale per l'obitorio. Finalmente, passate le 10,30 è vuota la scena del dramma.
Quel povero corpo, tra lo strazio della famiglia, è rimasto sull'asfalto per oltre cinque ore, gettato come la carogna di un animale, tra il passaggio di gente curiosa o indifferente.
Tante  volte abbiamo visto queste scene, suicidi o incidenti d’auto, spesso cinque - sei ore nell’attesa del magistrato o del medico legale. Non so quella mattina quali impegni avesse il magistrato, ma è giusto che la scena della fine della vita di un essere umano sia questa? Un cittadino ha diritto al rispetto anche da defunto o questo trattamento è un ticket da pagare per la morte fuori del letto di casa o d’ospedale, disturbando la Pubblica Autorità?
Sappiamo bene che un cadavere non può essere rimosso senza l'assenso del magistrato, ma in certi casi, così evidenti, come suicidi o incidenti stradali, non si possono modificare le norme ed incaricare un Ufficiale di Polizia? Oppure il magistrato non può essere prelevato da un'auto della Polizia con sirena? Negli ultimi anni abbondano, anche a sproposito, i veicoli con il fungo blu e sirena. E’ mai possibile che nel paese delle tante polizie non ci sia un lampeggiatore e una sirena per far arrivare un magistrato rapidamente sul luogo dove c’è un cadavere?
Non fosse per i due Carabinieri, degni della tradizione d’efficienza e umanità della loro Arma, e della grande professionalità dei sanitari del 118, i resti di quel povero essere umano sarebbero  stati abbandonati dallo Stato sull’asfalto, come un oggetto inutile.
Servo lo Stato da quasi oltre un quarto di secolo. Non ho mai accettato che nessuno, dall’usciere al dirigente, davanti ai casi umani, allarghi le braccia dicendo: “È la legge”  oppure ” è un ordine”.
Queste frasi del burocrate, che abdicano dalla ragione, fanno rabbrividire, vengono in mente i libri di Primo Levi e Vincenzo Pappalettera, la descrizione dei funzionari del Reich tedesco che spuntavano, con teutonica efficienza, i precisi elenchi degli ebrei da eliminare: erano solo “ein stuck” un “pezzo”, non un uomo, una cosa! Quei solerti funzionari, con facce da brav’uomo che poi, a guerra finita, non si sono sentiti colpevoli, avevano solo seguito la legge o un ordine superiore…….
L'applicazione delle norme senza ragione ed umanità è un’offesa alla democrazia, il diritto positivo non insegna questi comportamenti da quasi due secoli. Cesare Beccarla scrisse “Dei delitti e delle pene”  nel 1773. Ancora troppe volte chi ha forti poteri nello Stato, politico o funzionario, si adagia nella comoda poltrona della burocrazia e dimentica l'uomo con la U maiuscola.
Certi eventi mi rendono orgoglioso di appartenere all’Associazione Comunicazione Pubblica quasi dalla sua fondazione. Non abbiamo ancora distrutto i burocrati e i loro comportamenti, ma in questi 25 anni abbiamo sempre combattuto e continuiamo a farlo. Qualche successo l’abbiamo ottenuto e non ci siamo mai arresi né abbiamo allargato le braccia davanti alle ingiustizie o follie della burocrazia.
Pensare al faticoso cammino della “nostra” legge 150/2000, mi dà a volte momenti di scoramento. Ma subito mi riprendo, pensando alle parole dell’eroe nazionale ungherese Lajos Kossuth, che visse nella Torino risorgimentale ” Non abbiamo vinto, ma abbiamo combattuto. Non abbiamo abbattuto il tiranno, ma abbiamo fermato la sua corsa. Se un giorno qualcuno parlerà di noi dirà che abbiamo resistito”.

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