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venerdì 19 ottobre 2018

La Leadership Tossica. Del capo che non vorremmo avere


La Leadership Tossica. Del capo che non vorremmo avere
Ha avuto un vasto interesse inaspettato il mio blog del 3 settembre scorso con il titolo: “Come sopravvivere ad un capo idiota”, che recensiva un testo americano sulla leadership,
Ritengo però opportuno precisare che essendo io un giornalista e comunicatore pubblico, mi occupo anche di comunicazione interna e il pezzo sul “capo idiota” apparteneva a tale materia e aveva connotazioni chiaramente generali e culturali, se qualcuno si è identificato come “capo idiota” o sua vittima, sono loro problemi esistenziali di cui non ho colpa.
Tornando alla nostra materia, completo oggi il testo del 3 settembre con questa analisi, perché il capo idiota, descritto in forma semi-seria da quel testo americano appartiene a quella forma di leadership che è definita dalla letteratura in materia "leadership tossica".
In generale per leadership si intende il rapporto di colui che in una struttura sociale organizzata occupa la posizione più elevata e gestisce un gruppo. E’ quella figura che viene definita Capo (dal latino caput, "testa") o leader (dal verbo inglese to lead, "guidare"), è colui che ricopre un ruolo di comando o direzione (in inglese leadership), inteso come processo d'influenza sui membri del gruppo per il perseguimento degli scopi comuni.
Non può esistere il concetto di leadership senza la capacità tecnica e carismatica di "Comunicare" le proprie idee. Il vero leader è orientato alle persone e "condivide", motivando le sue scelte e le sue idee. Alla base della leadership deve esserci sempre il confronto, per portare a termine un'incarico o un progetto è sempre indispensabile la collaborazione dei sottoposti. L'abilità nell'utilizzare il potenziale dei propri collaboratori è direttamente proporzionale al successo dell'iniziativa. La qualità della leadership positiva deve essere contributiva e costruttiva, quindi tendente a far progredire la qualità del lavoro, la formazione e crescita delle persone e dei team.
Il contrario e negativo è definito in letteratura, "leadership tossica".

Gli studiosi della materia, esaminando gli effetti della leadership tossica sui climi organizzativi, evidenziano la presenza consequenziale di una realtà denominabile "organizzazione nevrotica" dove, secondo numerosi studi, le organizzazioni in crisi o a scarso rendimento, diventano permeate da un sistema che si basa sulle rappresentazioni intrapsichiche nevrotiche del loro leader, creando una cultura aziendale (intesa anche come politiche di selezione, premiazione, punizione e promozione) che tenderà ad estendere lo stile nevrotico all'intero funzionamento organizzativo portando anche al collasso.
Gli ambienti di lavoro “tossici” e leader “tossici” sono in stretta relazione. Una direzione tossica, agisce da "killer" silenzioso, creando danni gravi e duraturi a dipendenti e organizzazione. Richieste eccessive, pressione, durezza, sono alcuni marchi di strutture tossiche. Ai quali si aggiungono altri aspetti deterioranti come ambienti impersonali, lavoro nell’ottica della convenienza, tagli del personale con sovraccarico per chi rimane.
Un recente studio dell’Università di Johannesburg (Sud Africa) ha messo in evidenza la crescita di leadership “inquinata” nelle organizzazioni di tutto il mondo. Fa riferimento ad una serie di azioni deliberate del dirigente orientate a minare senso di dignità, autostima ed efficacia nei dipendenti, a creare un’atmosfera demoralizzante, timorosa, svalutante.
La tossicità non è misurata sugli atteggiamenti ma sugli effetti sistemici ad ampio raggio, sul clima contaminato, sull’erosione di risorse fondamentali come produttività, motivazione, creatività e impegno nei lavoratori.
Secondo gli studi, la leadership stessa è in crisi: nel mondo degli affari e della politica i leader sono sempre più considerati incompetenti.
Anche il tasso di fallimento dei capi è elevato, come dimostra il turnover veloce tra i direttori nelle grandi aziende. Fenomeno che, secondo gli esperti, non ha niente a che fare con competenza o esperienza, piuttosto con arroganza, ego e carenza di intelligenza emotiva.
Risulta inoltre che il 25 per cento dei dirigenti aziendali, sulla base di indagini internazionali, presentano tratti psicopatici.
Altre analisi hanno rilevato invece che il sostegno di capi “buoni” e il blocco di quelli “cattivi” si traduce in aumento di fatturato, riduzione di assenteismo, di consulenze, di trasferimenti dei dipendenti con risparmi significativi per l’azienda.
Ricerche allargate indicano inoltre che la capacità del leader di riconoscere il lavoro dei dipendenti, di promuovere cooperazione, di capire motivazioni, speranze e difficoltà dei lavoratori è correlato alla maggior redditività.
I tratti vincenti del buon leader sono sincerità, modestia, gratitudine, autenticità, comprensione, umorismo. È la pratica della gentilezza, in sostanza, ad avere impatto sul business.
La presenza di un leader “tossico” crea solo scompensi negli ambienti di lavoro e gli svantaggi che derivano da una gestione eccessivamente autoritaria superano nettamente i possibili vantaggi.
Secondo uno studio, la presenza di un leader duro, arrogante e per nulla rispettoso delle esigenze altrui fa in modo che i dipendenti si sentano più impegnati nell’immediato, facendo leva sulle paure e sul timore di perdere il lavoro ma tali comportamenti causano danni a lungo termine e minano l’efficienza dell’intera organizzazione.
Un’altra ricerca, ha rilevato come la scelta di conferire un incarico di supervisione a un manager troppo esigente si riveli inizialmente corretta per datori di lavoro che acquisiscono vantaggi a breve termine, ma con il passare del tempo i rischi sono notevoli: dai dati, risulta che avere a che fare con una pessima leadership spinge i collaboratori a voler lasciare l’azienda ( il 73% degli intervistati), aumenta i conflitti (70%) e incrementa il sospetto di essere oggetto di discriminazione da parte del capo nell’assegnazione degli incarichi e nella concessione di pari opportunità (81%).
La leadership tossica è autoritaria, narcisistica, distruttiva, onnipotente; è della persona che manipola la realtà, che usa il denaro senza attenzione, che non ha scrupoli morali e professionali. I Leader di questo tipo sono psicologicamente malati e alla lunga sono gravemente disfunzionali all’organizzazione.
Il leader tossico permea tutta l’organizzazione che gestisce e trova alleati, gregari, e succubi: perché? Spesso non c’è risposta: le dinamiche profonde a far sì che una persona sia succube e sia contenta di esserlo sono spesso imperscrutabili. Perché di fronte ad un leader malato in pochi si ribellano in azienda? Perché ci vuole molta forza. Chi si ribella e afferma il suo spazio e il suo valore deve far appello alla sua assertività (“la competenza di affermare il diritto di esistere”), che è l’arma da schierare per gestire e difendersi di fronte al leader tossico. In questo modo ci si può opporre: è molto difficile invece scardinare le dinamiche che la leadership tossica fa scattare all’interno dell’organizzazione perché entrano in gioco molti fattori, soprattutto il rapporto psicologico che ciascuno ha con l’autorità.
La leadership tossica può anche essere una delle principali cause di stress sul posto di lavoro, quando un leader mostra determinati comportamenti e caratteristiche che contribuiscono a creare un ambiente di lavoro negativo e/o ostile.
La leadership negativa e colpisce il clima aziendale. In un articolo pubblicato in Society for Human Resource Management, Andrew Schmidt, spiega i 5 indicatori di un leader tossico.
  1. Autoritarismo: I leader tossici non permettono al loro team di prendere l’iniziativa e sviluppare il lavoro con criteri propri. A loro non piace delegare, non si fidano e quando si vedono forzati a farlo, controllano attentamente il lavoro per sorvegliare che venga fatto a modo loro.
  2. Imprevedibilità: In alcuni momenti sono amabili e rispettosi, ma il giorno successivo sono irritabili e autoritari. Questo crea un’ambiente instabile tra i collaboratori, dato che non sanno quale comportamento aspettarsi da parte del loro superiore; il risultato è un ambiente insicuro, diminuzione della produttività e della motivazione.
  3. Narcisismo: I leader tossici hanno una visione poco reale di sé stessi e delle loro idee. Pensano di essere destinati a grandi cose e ignorano le capacità dei loro collaboratori. Squalificano le idee altrui e non esercitano l’autocritica in nessuna circostanza.
  4. Auto-promozione: Tendono a prendersi tutto il credito del successo ottenuto dal team e per le buone performance dei loro collaboratori. Gestiscono bene le buone impressioni, ma si allontanano quando si presentano problemi.
  5. Supervisione eccessiva: I leader tossici abusano dei loro collaboratori. Li criticano in pubblico, controllano costantemente i lavori delegati e ricordano in continuazione i loro errori. Il risultato di questo atteggiamento è di avere lavoratori insoddisfatti con bassa produttività.
Per concludere, è fondamentale ricordare che il capitale più importante in un’azienda è quello umano, da loro dipende il successo della organizzazione. È palese, e dimostrato da molti studi, che il mal funzionamento, la bassa produttività, il disordine organizzativo, sono strettamente connessi con una leadership tossica, come dice un vecchio detto “il pesce puzza sempre dalla testa”...

Pier Carlo Sommo
Segretario Generale 
Associazione per la Comunicazione 
Pubblica e istituzionale



PS anche questa volta consiglio la lettura di un libro:
Leader, giullari e impostori. Sulla psicologia della leadership
Manfred Kets de Vries
Editore: Cortina Raffaello
1996 - Pagine:166 - 14,45 su IBS.it


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