sabato 7 aprile 2018

Leggi, contratti e realtà.


Parlare oscuramente lo sa fare ognuno,
 ma chiaro pochissimi.
(Galileo Galilei, Considerazioni al Tasso, 1589)

Ogni anno, dal 2000 ad oggi, come il variare dalle stagioni e le allergie primaverili spuntano gli insofferenti  della  legge 150/2000. Con grande monotonia, da anni propongono, come al solito tre strade:  l’abrogazione, oppure le modifiche o il “superamento” della legge. Tali fervidi  ardori di primavera da quasi 20 anni compaiono e  poi dopo un po’ finiscono nel nulla, il strade senza sbocco, perché?
            L’ abrogazione, che è l’idea più radicale e decisa, ha il “piccolo” difetto che nessuno dice cosa rimarrebbe dopo. A tutt’oggi la 150/2000 e l’unica conquista concreta dei comunicatori pubblici dopo 30 anni di lotte, norma che ancora oggi i colleghi dell’Europa di invidiano, se si preferisce il nulla si è decisamente seguaci di Leopold von Sacher-Masoch.
            Altri più cauti propongono di modificarla. Benissimo, ma come, non ho mai visto finora una  proposta logica, concreta, organica e attuabile, solo molte chiacchiere di vario genere poco legate alla realtà di vita degli enti.  Possedendo una laurea in legge quando si parla poi di cambiare le leggi ho sempre un brivido, perché ormai da anni  abbiamo leggi sempre più malfatte, poi spesso ancora devastate e peggiorate da modifiche o rappezzi affrettati e superficiali.
            L’ultimo termine utilizzato dai tenaci “nemici” della 150/2000 è il “superamento”, si, ma per andare dove?  Come diceva il mio grande conterraneo Giovanni Giolitti “Le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici”. Anche la legge 150/2000 è da interpretare, leggendola attentamente si comprende che è stata prevista come un contenitore delle svariate professionalità insite nel lavoro della comunicazione, è arduo e quasi impossibile delineare sfumature in continuo cambiamento e anche diverse per ogni ente pubblico.  In questa foga iconoclasta qualcuno definisce poi  anacronistica” la  distinzione tra Urp, ufficio stampa e portavoce. Appunto, le leggi bisogna conoscerle e saperle applicare. Le tre figure sono i grandi “contenitori” di professionalità, che vanno modulati secondo il tipo e grandezza dell’ente. I dati abbastanza recenti dicono che gli  enti che compongono l’universo della PA italiana è di circa 11.000, tra strutture regionali e locali. Il numero di occupati a diverso titolo è di circa 3.400.000. Si immagini le diverse esigenze per tipologia,  dimensioni e competenze….
            L’unica autentica necessità, per la quale si è battuta e si batte l’Associazione Comunicazione Pubblica, sono i profili professionali nei contratti nazionali di lavoro, che permettano finalmente di inquadrare giuridicamente le varie figure della comunicazione e informazione e consentano il riconoscimento delle lauree in comunicazione e equipollenti. Le facoltà universitarie sfornano da tempo ottimi comunicatori che non trovano sbocco nel settore pubblico, la loro professionalità,evoluta e indispensabile per una pubblica amministrazione moderna e vicina al cittadino, è ancora incompresa e sottovalutata e  trascurata dai contratti di lavoro pubblici.
            Non voglio raffreddare poi gli entusiasmi o sottovalutare, ma i social media sono solo una parte della comunicazione pubblica, elemento ormai molto rilevante, ma non sono e non possono essere “La Comunicazione Pubblica” in esclusiva.             
Non bisogna confondere gli strumenti con la professione e i contenuti con i contenitori. 
            Sono cambiati gli strumenti, ma gli obiettivi strategici della comunicazione ed informazione pubblica sono sempre gli stessi, le eventuali distorsioni sono dovute a fattori politici o similari, ma non di certo alla legge o agli strumenti che si sono evoluti o mutati. Per il fatto che i comunicati stampa sono inviati via e-mail invece che via fax, non significa che i giornalisti siano diventati informatici, si sono semplicemente evolute ed aggiornate le professionalità.
            Per i comunicatori pubblici, sostanzialmente è avvenuta una evoluzione di strumenti, ma la professione di base è quella del comunicatore pubblico, che nelle grandi amministrazioni può specializzarsi e frazionarsi in specifici settori, ma nelle medie e piccole realtà è una figura multiculturale, ovviamente negli ambiti delle materie  e strumenti della comunicazione.
            Dovessi proporre per assurdo una modifica alla legge 150/2000, eliminerei i portavoce, che sono stati spesso strumento di distorsioni da parte dei politici. Non solo non hanno determinato la divisione tra comunicazione politica e istituzionale, come noi di Comunicazione Pubblica avevamo onestamente ipotizzato elaborando la legge, ma hanno causato un grave danno alla comunicazione istituzionale creando figure ibride ad hoc spesso carenti della professionalità necessaria.
            Questo è l’approccio al problema, a qualcuno può sembrare arido o semplicistico, ma è invece pratico e pragmatico. Un atteggiamento che finora ha portato e sta portando risultati, una linea comportamentale che l’Associazione Comunicazione Pubblica segue da oltre un quarto di secolo.
Tutto il resto rischia solo di creare confusione dove più che mai si ha bisogno di sintesi e chiarezza, proprio quando siamo ormai prossimi alla grande meta del riconoscimento contrattuale.
 Pier Carlo Sommo
Segretario Generale 
Associazione Comunicazione Pubblica